Cosa succede quando a morire per mano delle forze dell’ordine è un giovane palestinese affetto da spettro autistico, disarmato, diretto al suo posto di lavoro? La risposta è nulla, non succede nulla.

Soukaina Ezzarouali
(@SoukainaPatridg)
LONDON
Il 2 giugno, nella città vecchia di Gerusalemme, a pochi giorni dalla drammatica morte di George Floyd – l’uomo afroamericano morto per mano di un agente di polizia di Minneapolis, un’altra uccisione ingiustificata avviene nel silenzio totale di autorità e media.
Iyad Hallaq, palestinese di 32 anni, si stava dirigendo verso la scuola presso la quale il giovane studiava e lavorava. Pur essendo disarmato, è stato dapprima richiamato a fermarsi e quando ciò non è avvenuto, la polizia israeliana ha ben pensato di sparagli causando la sua morte.
A poche ore dall’uccisione i genitori, interrogati, hanno rivelato che il figlio era autistico: “incapace di far del male a qualcuno” sono state le parole della madre.
La polizia israeliana si è giustificata dicendo di aver sospettato che l’uomo fosse armato senza fornire ulteriori dettagli in merito.
Eppure sulla morte di Iyad, di come essa sia avvenuta e delle possibili conseguenze, nessuno ha parlato. Nessuna indignazione, nessuna protesta. Solo silenzio.
Non ci meravigliamo, la storia è piena di vicende come questa. L’ipocrisia sta però nel non riconoscere che esistono morti “di serie A” e morti “di serie B”.
George Floyd e Iyad Hallaq condividono la stessa penosa fine, ma il secondo ha la colpa di essere nato nella parte di mondo invisibile, quella che non fa notizia.
Iyad Hallaq è morto nell’indifferenza dei suoi uccisori e in quella del resto del mondo. Non ci saranno proteste per lui, non ci saranno cartelloni – “Iyad Hallaq’s death does not matter” e così come quella di Iyad, non sono rilevanti quelle delle centinaia di vittime come lui, oppresse da sempre, inascoltate, marchiate da altre discriminazioni oltre a quelle di razza.
Ma d’altronde, cosa fare quando è il web ed il clickbait a suggerirci cosa è importante e cosa no, per cosa vale la pena sdegnarsi e cosa invece può passare inosservato.
Come combattere un’informazione che è di per sé discriminatoria, che sceglie cosa darci in pasto con maestria, che inventa, costruisce e disfa le notizie a suo piacimento.
La morte di Iyad è quella di un giovane palestinese ucciso per mano delle forze di polizia israeliane, in un territorio da sempre motivo di dibattiti, dilaniato dai conflitti, straziato dagli abusi e dalle ingiustizie.
La sua morte non è tanto diversa da quella di tantissimi altri palestinesi uccisi proprio e soprattutto per il fatto di essere tali. E proprio per questo non fa notizia, non più.
A giorni dalla morte del figlio, la famiglia e i parenti di Iyad chiedono giustizia, consapevoli anche di come le autorità israeliane cercheranno, probabilmente con successo, di distorcere i fatti.
Allo stesso tempo qualcuno si è anche prodigato nel creare una petizione che chiede giustizia per il ragazzo, sempre nel silenzio più totale da parte dei media, s’intende.
È di poche ore fa la notizia che tutti e quattro i poliziotti coinvolti nella morte di Floyd sono stati dichiarati colpevoli. Non ci sarà invece nessun arresto per gli assassini di Hallaq.
Iyad Hallaq non è l’eccezione, è la regola. E la regola non fa clamore.
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